S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
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S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Allora, la stiamo inventando io e Ale (chiedo di nuovo venia a Kris, non volevo copiarti l'idea xD), e lui mi sta aiutando fondamentalmente in fattore sintattico, grammaticale e strutturale, riguardo alla storia. Quindi i maggiori meriti a lui, grazie.
Detto questo, vi lascio col prologo.
Prologo.
Era tutto buio in quella stanza d'albergo. Vi erano solo lui, il suo aggressore e nessun'altro. Lo aveva messo alle strette, catturato come un topo che aveva cercato di portarsi via l'amato formaggio e fosse rimasto incastrato in quella trappola per topi. Era stato scoperto in flagrante nel tentativo di mantenere informazioni segrete che dovevano rimanere ad ogni costo tali com'erano, ma ormai tutto era perduto.
Erano soli, lui e il suo aggressore. Solo un lasso di tempo che - per un attimo non sembrò finire mai - bastò per dare all'uomo la sensazione di essere nel vuoto assoluto, poi continuarono a fissarsi l'un l'altro nell'oscurità che inghiottiva tutto.
Lui non avrebbe mai potuto capire chi era il suo aggressore. Era un uomo furbo, scaltro oltre ogni immaginazione, questo doveva ammetterlo. Non avrebbe mai immaginato una tale solerzia da parte di una spia qualunque. Ammesso sempre che fosse "uno qualunque", questo è certo. Sentì la tensione crescegli in corpo, mentre capì che ormai era arrivata la sua ora e che l'uomo teneva ben saldo in pugno la sua pistola che luccicò per un momento, colpita da un raggio di luce che era filtrato dalle tende di seta. Erano in un Hotel a cinque stelle extra-lusso. Un luogo molto amato dalla clientela la quale vi trascorreva più notti, ignara del traffico di soldi sporco che ci aggirava all'interno. Un po' come la mela di Biancaneve: fuori brillante e dal bell'aspetto, dentro marcia e avvelenata.
Lui sapeva che questa missione poteva essere alquanto rischiosa e che avrebbe potuto rimetterci la vita, ma chi se lo sarebbe mai immaginato che proprio uno come lui si facesse mettere nel sacco in quel modo. Girò lo sguardo, senza far notare al suo aggressore che stava cercando di appogliarsi anche al minimo spiraglio di salvezza. Se solo avesse potuto avvicinarsi, anche solo di qualche centimetro, alla finestra...
Doveva guadagnare tempo, doveva provarci in qualche modo, altrimenti la rivelazione di quei codici criptati avrebbe portato conseguenze catastrofiche. Inghiottì a vuoto e si costrinse a parlare.
«Non mi sarei mai immaginato una tale velocità di contraccolpo... Agente.»
Cercò di mantenere il suo self control ancora per un po', aspettando il momento propizio. Una goccia di sudore sorse dalla fronte attraversandogli la tempia, per poi arrivare alla gota. In qualche modo sperò che gli rispondesse, il che sarebbe un grave danno per l'avversario, perché così avrebbe rivelato la sua identità. Tuttavia non si sarebbe mai aspettato che fosse proprio...
«Ti è andata male agente JJ.»
Era una voce che non si sarebbe mai aspettato di avere contro. L'aggressore piegò le labbra in un sorriso beffardo , mentre reggeva la sua pistola con noncuranza, come un artista che brandisce il suo amato pennello in mano. «Metti giù la valigetta e io non ti torcerò un capello.»
Era una balla, questo lo sapeva. Nessuna spia, tantomeno contro-spia avrebbe risparmiato un suo avversario. Non obbedì, anzi, strinse ancor di più la valigetta in mano, scoprendosi così patetico da aspettarsi che qualcuno aprisse quella maledetta porta, tra l'altro chiusa a chiave dall'individuo. La spia abbassò il grilletto, facendone risuonate il tintinnio metallico, e stavolta ripetè con più decisione: «Metti giù la valigetta, altrimenti non ci penserò due volte a farti saltare il cervello.»
Che cosa avrebbe dovuto fare? Lasciar perdere la valigetta e fuggire da vigliacco, ammesso che ce la faccia, oppure morire da eroe? In entrambi i casi sarebbe stato a vantaggio dell'individuo.
"Cavolo JJ, ti sei ritrovato in situazioni più difficili! Pensa, pensa, pensa!" Pensò l'agente, in preda ad un'ansia latente.
In quella camera c'erano un letto a baldacchino, di cui non riuscì a distinguerne i colori delle coperte a causa dell'uscurità, un minifrigo, un comò con una lampada ad appoggio, un tavolino in legno massello con uno specchio e una poltroncina adiacente. Fece un passo indietro e posò per terra la valigetta ma non osò avvicinargliela. Se la fortuna era dalla sua parte, forse...
L'agente si avvicinò a passo guardingo, tenendo sempre la pistola ben puntata alla testa del suo succubo.
«Molto bene agente, sapevo che alla fine avresti ragionato...»
Abbassò il capo. Grande errore: mai distogliere l'attenzione dall'avversario. L'agente colse l'occasione al volo, spinse con un calcio la valigetta e prese il polso della mano dove il suo aggressore impugnava la pistola e lo girò... Ma non fu troppo veloce.
Ci fu un colpo.
Poi tutto nero.
Detto questo, vi lascio col prologo.
S.I.C.
Spie In Codice
Spie In Codice
Prologo.
Era tutto buio in quella stanza d'albergo. Vi erano solo lui, il suo aggressore e nessun'altro. Lo aveva messo alle strette, catturato come un topo che aveva cercato di portarsi via l'amato formaggio e fosse rimasto incastrato in quella trappola per topi. Era stato scoperto in flagrante nel tentativo di mantenere informazioni segrete che dovevano rimanere ad ogni costo tali com'erano, ma ormai tutto era perduto.
Erano soli, lui e il suo aggressore. Solo un lasso di tempo che - per un attimo non sembrò finire mai - bastò per dare all'uomo la sensazione di essere nel vuoto assoluto, poi continuarono a fissarsi l'un l'altro nell'oscurità che inghiottiva tutto.
Lui non avrebbe mai potuto capire chi era il suo aggressore. Era un uomo furbo, scaltro oltre ogni immaginazione, questo doveva ammetterlo. Non avrebbe mai immaginato una tale solerzia da parte di una spia qualunque. Ammesso sempre che fosse "uno qualunque", questo è certo. Sentì la tensione crescegli in corpo, mentre capì che ormai era arrivata la sua ora e che l'uomo teneva ben saldo in pugno la sua pistola che luccicò per un momento, colpita da un raggio di luce che era filtrato dalle tende di seta. Erano in un Hotel a cinque stelle extra-lusso. Un luogo molto amato dalla clientela la quale vi trascorreva più notti, ignara del traffico di soldi sporco che ci aggirava all'interno. Un po' come la mela di Biancaneve: fuori brillante e dal bell'aspetto, dentro marcia e avvelenata.
Lui sapeva che questa missione poteva essere alquanto rischiosa e che avrebbe potuto rimetterci la vita, ma chi se lo sarebbe mai immaginato che proprio uno come lui si facesse mettere nel sacco in quel modo. Girò lo sguardo, senza far notare al suo aggressore che stava cercando di appogliarsi anche al minimo spiraglio di salvezza. Se solo avesse potuto avvicinarsi, anche solo di qualche centimetro, alla finestra...
Doveva guadagnare tempo, doveva provarci in qualche modo, altrimenti la rivelazione di quei codici criptati avrebbe portato conseguenze catastrofiche. Inghiottì a vuoto e si costrinse a parlare.
«Non mi sarei mai immaginato una tale velocità di contraccolpo... Agente.»
Cercò di mantenere il suo self control ancora per un po', aspettando il momento propizio. Una goccia di sudore sorse dalla fronte attraversandogli la tempia, per poi arrivare alla gota. In qualche modo sperò che gli rispondesse, il che sarebbe un grave danno per l'avversario, perché così avrebbe rivelato la sua identità. Tuttavia non si sarebbe mai aspettato che fosse proprio...
«Ti è andata male agente JJ.»
Era una voce che non si sarebbe mai aspettato di avere contro. L'aggressore piegò le labbra in un sorriso beffardo , mentre reggeva la sua pistola con noncuranza, come un artista che brandisce il suo amato pennello in mano. «Metti giù la valigetta e io non ti torcerò un capello.»
Era una balla, questo lo sapeva. Nessuna spia, tantomeno contro-spia avrebbe risparmiato un suo avversario. Non obbedì, anzi, strinse ancor di più la valigetta in mano, scoprendosi così patetico da aspettarsi che qualcuno aprisse quella maledetta porta, tra l'altro chiusa a chiave dall'individuo. La spia abbassò il grilletto, facendone risuonate il tintinnio metallico, e stavolta ripetè con più decisione: «Metti giù la valigetta, altrimenti non ci penserò due volte a farti saltare il cervello.»
Che cosa avrebbe dovuto fare? Lasciar perdere la valigetta e fuggire da vigliacco, ammesso che ce la faccia, oppure morire da eroe? In entrambi i casi sarebbe stato a vantaggio dell'individuo.
"Cavolo JJ, ti sei ritrovato in situazioni più difficili! Pensa, pensa, pensa!" Pensò l'agente, in preda ad un'ansia latente.
In quella camera c'erano un letto a baldacchino, di cui non riuscì a distinguerne i colori delle coperte a causa dell'uscurità, un minifrigo, un comò con una lampada ad appoggio, un tavolino in legno massello con uno specchio e una poltroncina adiacente. Fece un passo indietro e posò per terra la valigetta ma non osò avvicinargliela. Se la fortuna era dalla sua parte, forse...
L'agente si avvicinò a passo guardingo, tenendo sempre la pistola ben puntata alla testa del suo succubo.
«Molto bene agente, sapevo che alla fine avresti ragionato...»
Abbassò il capo. Grande errore: mai distogliere l'attenzione dall'avversario. L'agente colse l'occasione al volo, spinse con un calcio la valigetta e prese il polso della mano dove il suo aggressore impugnava la pistola e lo girò... Ma non fu troppo veloce.
Ci fu un colpo.
Poi tutto nero.
Ultima modifica di RORYJACKSON il Sab Gen 19, 2013 11:51 pm - modificato 1 volta.
RORYJACKSON- INVINCIBLE
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Ok, bello l'inizio, bello il modo in cui è scritto, bello il finale del prologo ma... I maggiori meriti sono i tuoi! La storia è tutta tua, io ho solo dato una (piccola) mano per quanto riguarda i pochi errori, e un aiuto sulla scelta del titolo. E ti darò tutti i consigli che vorrai, ma la storia è tua, non si può considerarla nemmeno a quattro mani secondo me Diciamo che io sono il tuo editore
2 Bad- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
In verità Very, ieri sera sono andata piuttosto presto a nanna ^_^
Comunque grazie.
Ale, non dire fesserie u.u
Comunque grazie.
Ale, non dire fesserie u.u
RORYJACKSON- INVINCIBLE
- Numero di messaggi : 5072
Età : 28
Data d'iscrizione : 21.08.09
Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Non dico fesserie, do solo il merito giusto u.u
2 Bad- Greatest Entertainer of All Time
- Numero di messaggi : 12424
Età : 31
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Daiiiiiiiiiiiiiiii che sono curiosaaa!!
Già lo sai che mi piace come scrivi e anche le metafore che usi e gli spunti intelligenti che prendi.
Già lo sai che mi piace come scrivi e anche le metafore che usi e gli spunti intelligenti che prendi.
KrisMichael- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Grazie KrisKRISMICHAEL'96 ha scritto:Daiiiiiiiiiiiiiiii che sono curiosaaa!!
Già lo sai che mi piace come scrivi e anche le metafore che usi e gli spunti intelligenti che prendi.
RORYJACKSON- INVINCIBLE
- Numero di messaggi : 5072
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Ma di che!! Scommetto che farai la prima donna nella tua storia
KrisMichael- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
No, ma visto che sto scrivendo questa storia, ho deciso di usufruire di lei:KRISMICHAEL'96 ha scritto:Ma di che!! Scommetto che farai la prima donna nella tua storia
- Spoiler:
Che sarà la protagonista donna.
RORYJACKSON- INVINCIBLE
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Non siete poi così diverse
KrisMichael- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Non è vero. È di certo più carina e figa di me u.uKRISMICHAEL'96 ha scritto:Non siete poi così diverse
RORYJACKSON- INVINCIBLE
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
-_-''''''''''''
KrisMichael- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Infatti Rory, ti somiglia, ma tu sei più carina
2 Bad- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Bello questo inizio veramente avvincente!
pero' qualche errore di sintassi c'e',l'editore non ha fatto bene il suo lavoro ve l'ho detto che sarei stato severo!u.u
pero' qualche errore di sintassi c'e',l'editore non ha fatto bene il suo lavoro ve l'ho detto che sarei stato severo!u.u
Smooth Criminal 90- INVINCIBLE
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Oh, ma quale onore Matt.
Comunque Ale ha fatto quel che doveva, sono io che gli ho consegnato un prologo... così. XD
Comunque, grazie. Vedrò di soddisfare le aspettative con il primo capitolo.
Comunque Ale ha fatto quel che doveva, sono io che gli ho consegnato un prologo... così. XD
Comunque, grazie. Vedrò di soddisfare le aspettative con il primo capitolo.
RORYJACKSON- INVINCIBLE
- Numero di messaggi : 5072
Età : 28
Data d'iscrizione : 21.08.09
Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Infatti infatti, come dicevo la storia è la sua
2 Bad- Greatest Entertainer of All Time
- Numero di messaggi : 12424
Età : 31
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Data d'iscrizione : 22.04.11
Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Continuo. Badate che questa volta un pezzo l'ha scritto Ale. (solo che io l'ho modificato abbastanza.. ma va beh.) Ti ringrazio tanto Ale, per il tempo che mi dedichi *-*
Spero piaccia. Un bacione a tutti!!
La stanza era immersa nella penombra. La voce femminile, metallica e incolore del computer echeggiò per tutta la sala.
“Processo di cancellazione memoria.”
È così, quando una persona fa la richiesta di andarsene, che i ricordi passati in agenzia vengono cancellati e sostituiti con altri a sua scelta, grazie al RimotionMemories, un casco di latta fatto di apparecchiature tecnologicamente avanzate. Ci fu un lampo all'interno del casco. La persona era ormai caduta in un sonno profondo, in modo che il congegno faccia il proprio lavoro. L'agenzia non poteva permettersi il rischio di lasciare liberi ex-dipendenti del dipartimento in giro per la città. Avrebbero potuto spifferare a chissà chi le notizie dell'agenzia, il che significa rivelare a persone non idonee certe informazioni.
E questo non doveva assolutamente accadere.
Il processo RM, ovvero RimotionMemories, era stato attuato, dopodiché l'agente non poteva più tornate indietro, il che significa che non poteva più ritornare a far parte del dipartimento, e la sua vita ritornerà com'era un tempo.
L'agente Mord, il sovraintendente dell'agenzia posò le mani in tasca nell'attesa che finisse il processo, e scrutò affondo quella sedia, su cui era seduto un suo futuro ex-dipendente, con occhi malinconici. Era sempre difficile dire addio ad un agente, anche se avesse dovuto esserci abituato.
«Era un buon agente... Un peccato che se ne sia andato.»
«Quando passi troppo tempo con una doppia vita dopo ti chiedi a quale parte di essa appartieni...» Disse una voce alle sue spalle, sospirando. Si trattava dell'agente Key, il Vice.
La voce dell'apparecchio elettronico disse ancora con tono incolore: “Processo RimotionMemories, completato.” Ci fu un altro lampo e il casco finì la sua funzione.
L'agente Mord trasse un profondo respiro.
«Forse hai ragione...»
Si allontanarono dal loro futuro ex-agente, e lo lasciarono lì, aspettando che il congegno gli rinnovi la parte dei ricordi e del tempo trascorso in agenzia, sostituendoli con altri da lui desiderati...
Jonathan Jackson era seduto compostamente al tavolo del suo bar di fiducia aspettando il suo amato Tè mattutino. Era ormai un cliente abituale e considerava il Tè del "BlueSky Bar" il più raffinato di tutta New York. Abbigliato in giacca e cravatta come un vero Dongiovanni, alzò il braccio destro per dare una sbirciatina all'orario. Non che ce ne fosse bisogno, sia chiaro, il Tè lo prendeva puntualmente ogni dì alle 11:30. Quella mattina era più agitato del solito.
Fortunatamente venne Tracy, la cameriera addetta ai tavoli, una dolce ragazza sui vent'anni composta e signorile, a deliziargli gli occhi tenendo il mano il vassoio con la tazza piena di Tè fumante. La ragazza, scostandosi la ciocca di capelli biondi dalla fronte salutò amabilmente il suo ospite.
«Con due zollette di zucchero!» Esclamò raggiante, quasi come fosse un benvenuto abituale.
«Come sempre!» Disse lui ricambiando il sorriso, la fragranza della bevanda gli inebriò le narici e Jonathan incominciò a sorseggiare poco il suo elisir, come al solito dolce e piacevole.
Sarebbe potuto benissimo sembrare un capoufficio o un giovane imprenditore, con quella sua postura signorile ma sportiva, con il braccio appoggiato al bracciolo della sedia, l'altro portato poco sotto il mento, tenente la tazza, le gambe leggermente divaricate, e per non parlare dei suoi capelli corvini dal tagio fresco e giovanile e i suoi occhi scuri e penetranti... Insomma, la sua presenza non passava di certo inosservata.
Era sempre un po' agitato quando gli affidavano una nuova missione, nonostante ne avesse fatte tante da aver perso il conto. Nel suo campo era molto riconosciuto e quindi rispettato, per la sua professionalità.
Quella mattina, però, gli aspettava un incarico assai importante, dove avrebbe messo persino messo in gioco la sua vita.
Finì di gustarsi il suo Tè e si guardò attorno. Si accorse che il benessere della routine quitiniava lo tranquillizzava. Quasi gli mancavano i giorni in cui era un semplice neo-laureato, tirocinante nel campo dell'economia aziendale. Avrebbe avuto una ragazza con cui passare le giornate, a cui non nasconderebbe niente, uscire la sera e divertirsi senza stare col fiato sul collo di essere scoperto o, peggio ancora, ucciso.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillar del cellulare, riportandolo con la mente al giorno d'oggi. Rispose al primo squillo senza neanche accertarsi chi fosse il mittente, siccome già se l'aspettava.
«Agente JJ, ti aspetto in agenzia.»
«Capo, aspettavo una sua chiamata.» Disse lui sorridente, quasi come se avesse potuto farglielo percepire. «E comunque, buongiorno!»
«È una questione di vita o di morte.» Disse l'agente Mord, con una sfumatura di amaro nella sua voce. «E buongiorno anche a te.»
E staccò la chiamata.
Dall'agitazione del sovrintendente, Jonathan capì che si trattava qualcosa di veramente importante, e il suo "questione di vita o di morte" non gli piaceva affatto. Improvvisamente avvertì dentro di se una strana pressione, come un brutto presentimento, ma si trattenne dall'allargarsi la cravatta.
Senza neanche aspettare che la dolce Tracy ritorni al tavolo, entrò dentro al bar posando i soldi, dimenticando anche di ritirare lo scontrino. Non che ne avesse bisogno, lo sapeva benissimo il prezzo di un Tè al tavolo, e incominciò ad incamminarsi verso casa sua che si trovava a quattro isolati da lì. Neanche più un Tè poteva prendere in santa pace!
Era una bella giornata soleggiata, ma non fu altrettanto bella la vista dei vicini che bisticciavano animatamente per la cacca di Lucky, il cane del signor Trevis, che aveva fatto nel giardino della signora Smith. Jonathan non poteva credere alle proprie orecchie, per le non poco volgari parolacce che esclamava la Smith; e dire che di solito era così dolce e pacata, pensò il giovane.
Quella scena dava a desideraree e per non immischiarsi, corse subito in casa senza neanche salutarli. Ad un tratto gli sembrò surreale la tranquillità che regnava lì dentro rispetto al caos, a pochi metri di distanza. Attraversò il largo corridoio, arrivò al soggiorno e scavò nel cassetto del mobile a muro, dove poco sopra si trovava, in una rientranza, un televisore al plasma. Trovò le chiavi della sua Mercedes nero brillante e corse in garage, usando la porta di sicurezza situata nel corridoio, e salì a bordo della sua bella auto facendo risuonare il rimbombo del motore, simile ad un ruggito di un leone.
Jonathan fece aprire il cancello elettronico e partì, sfrecciando a tutto gas verso l'agenzia.
Si fermò davanti al solito tombino dietro un ghetto, quelle palazzine sbarricate dove abitavano le famiglie povere, oppure quei padri ubriaconi che non avevano nient'altro da fare se non bere e sfogarsi. Prese la torcia ed uscì fuori dall'auto, chiudendola a chiave.
L'aria di quel posto era sempre più intrisa d'immondizia, polvere e smoog , e il sole arrivava poco da quelle parti. Ma ormai Jonathan era abituato per le innumerevoli volte che aveva scavavalcato quel cancelletto. Anche se era giorno, a quell'ora era sempre deserto quel posto, perché le persone o erano piccoli operai sfruttati senza titolo di studio, e quindi costretti a lavorare come schiavi fin dal primo mattino, oppure altri dormivano fino a tardi. Quindi aprì il tombino e scivolò dentro.
Se l'aria fuori puzzava, quella di là dentro era un fetore immondo, e a quello l'agente non ci si sarebbe mai abituato. Scese la rampa di scale in fretta, gli scalini erano sempre scivolosi perché pieni di unto, e andò procedendo per la sua destra, accendendo la torcia che lui stesso chiamò "Solar" a causa della potenza di watt: con solo quel marchingegno si poteva illuminare un campo di calcio.
Quella fogna era sempre piena di topi e le ragnatele arrivavano a toccargli la testa. Arrivò ad una porta simile a quella di un ripostiglio chiusa a chiave, l'aprì e si ritrovò in una camera stretta, le pareti in acciaio e di fronte a lui un'altra porta. Quello stanzino era tutto simile ad un'ascensore di stazione molto spazioso. Affianco alla porta vi era un congegno a rilevamento. Jonathan prese, quindi, il suo tesserino e lo passò nel rilevatore, per poi pigiare alcuni tasti della tastiera. E fu così che anche quella porta si aprì, le due porte si dilatarono finché non scomparvero nel muro rivelando, come il tesoro della caverna dei quaranta ladroni, un corridoio tutto illuminato. Della Solar Jonathan non ne aveva più bisogno, così la spense. S'avviò nel corridoio super-illuminato con noncuranza e tranquillità, superando la trappola dei laser con la sua agilità da ex-ginnasta e si ritrovò di fronte ad un medesimo rilevatore. Jonathan pigiò un tasto e la voce del computer rimbombò per tutto il largo corridoio.
“Password Vocale.”
Per quante volte l'avrebbe ascoltata, quella voce metallica lo inquietava sempre. Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.
«JJ, Agente del dipartimento S.I.C.»
Disse, con voce risoluta e calma, aspettando la risposta affermativa della macchina.
“Riconoscimento voce: affermativo. Password accettata.”
Il ragazzo aprì gli occhi e quasi trattenne il respiro. Era sempre una stranza pressione capire di stare entrando in una società segreta. La voce del computer risuonò ancora, una volta che si aprirono le porte.
“Bentornato, agente JJ.”
Jonathan avanzò nel suo ambiente.
Il dipartimento S.I.C., era completamente diverso sotto ogni aspettativa, e non somigliava neanche minimamente ad una normale agenzia.
Si rasserenò ritrovandosi davanti il distributore di caramelle - l'unica cosa normale lì dentro, ma per quale motivo fosse stato messo lì è tutt'oggi un mistero - che era molto simile al distributore di giocattolini a gettone, con la campana di vetro a sfera, posta sopra un pilastro in acciaio laccato in rosso. L'unica differenza era che bastava girare la manopola, per far scendere le caramelle. L'avevano battezzata "Mrs. Candy", ma il perché avessero dato una nomina a quel distributore era anch'esso un mistero.
L'agente percorse il tragitto fino ad arrivare alla scrivania della signora Bridget, la donna che stava alla portineria. Lei era una signora tutta paffuta e sempre sorridente, che andava sulla cinquantina. Jonathan era molto educato e non si permise affatto di chiederle l'età, anche se avrebbe voluto davvero tanto conoscerla. La scrivania era piena delle sue scartoffie e dei dati del computer alla quale lei ci lavorava giorno e notte, senza mai staccarsi. Infatti al posto delle lenti aveva due fondi di bicchiere, per quanto fosse miope.
Salutò, quindi, l'agente JJ con un largo e pimpante sorriso da stregatto e ritornò al suo computer.
Il ragazzo prese la sua caramella da Mrs.Candy e gli era proprio capitata una al gusto di arancia, la sua preferita.
«Caramella gusto arancia, uno schiaffo sulla guancia!»
Esclamò JJ, colpendo leggermente il viso di Bruce, un suo collega agente del quale era molto amico.
«Maledetta Mrs. Candy, sono sicuro che faccia apposta a far uscire la caramella all’arancia ogni volta che ho il mal di denti!»
Esclamò Bruce in tono alterato, spostandosi i capelli biondi all'indietro. Era un tic che aveva da sempre. JJ si fece scappare una risatina mentre proseguì verso l'ufficio del capo, non prima di essere distratto da un enorme quadro sul muro raffigurante il sovrintendente Mord. JJ fermò l'inserviente delle pulizie, di cui nessuno sapeva il nome, e gli chiede da quando quel quadro fosse lì e soprattutto perché. L'inserviente rispose semplicemente: «Voleri del boss JJ, sai quanto è megalomane ed egocentrico.»
Proprio mentre si apprestava a bussare la porta di Mord, il cellulare gli squillò. Era un numero anonimo, e JJ si allontanò di qualche metro prima di rispondere.
«Pronto.»
«… … …»
Solo silenzio.
L'agente chuse la chiamata infastidito e si riavvicinò alla porta dell'ufficio del capo. Davanti ad essa però, a bloccargli l'accesso, c'era un uomo alto più o meno due metri, e muscoloso, che il ragazzo non aveva mai visto.
«Devo entrare.» Disse JJ, in tono placido.
L'energumeno si spostò, aprì la porta ed entrò nell'ufficio, invitando JJ a fare lo stesso. Una volta entrati chiuse la porta alle loro spalle. L'agente era impaziente di sentire quale missione gli aveva affidato il sovrintendente.
Lo vide con lo sguardo incollato allo schermo del monitor gigante con occhi vacui, ma quando vide il ragazzo sulla soglia della porta spense subito il monitor con il telecomando, allarmato. Ma Jonathan riuscì a vedere la foto, anche se per un battito di ciglio. Si trattava di un uomo giovane, vestito in modo elegante, solo che sfortunatamente non riuscì a distinguerne bene i tratti somatici del volto.
«Eccoti qui Jackson.» Disse il capo facendo un profondo respiro, poi proseguì: «Vedo che hai già conosciuto Martin.»
«Chi? Quel colosso?» Disse JJ, indicando con il pollice la porta.
«Sarà uno dei tuoi compagni di squadra.» Disse con noncuranza il sovrintendente Mord mentre estraeva il suo walkitalky dalla tasca, facendo sembrare il turbamento di prima una sciocca immaginazione. Allungò la ricezione ed aprì lo sportellino nero, dopodiché se lo posò all'orecchio. Attese per qualche secondo poi parlò, sotto lo sguardo incuriosito e indagatore del suo subalterno. Disse solo: «Agente R, la attendo nel mio ufficio. Passo.»
“Agente R?” Pensò JJ, inarcando lievemente un sopracciglio. “È un nome che non ho mai sentito... Mi hanno affibbiato tutti agenti che non conosco, cavolo!” Tuttavia JJ si ritrovò a ripensare al volto visto in quella foto. Un uomo giovane, probabilmente poco sotto la quarantina, con capelli scuri e carnagione chiara. Si chiese chi fosse, se magari avesse fatto parte dell'agenzia e se centrasse in qualche modo con la missione che doveva portare a termine... Il suo pensare venne interrotto dalla porta che si apriva nuovamente. Entrò nel capo-ufficio una donna minuta, dai capelli corti rossi e sbarazzini e con una tuta di jeans scura, il colletto aperto in modo da far risaltare le forme. Lo sguardo affascinante, dagli occhi grandi e verdi. Guardò JJ con leggero stupore, poi però subito rivolse la propria attenzione a Mord, che era ormai in piedi.
«Signore...» Incominciò lei, facendo un cenno col capo. Aveva una voce molto cristallina, notò Jonathan. Il sovrintendente sorrise.
«Agente JJ, vi prensento la vostra compagna di squadra.»
La donna s'avvicinò al collega porgendogli la mano, sorrise affabile.
«Sarò lieta di lavorare con voi.»
Spero piaccia. Un bacione a tutti!!
Capitolo I
L'agenzia.
La stanza era immersa nella penombra. La voce femminile, metallica e incolore del computer echeggiò per tutta la sala.
“Processo di cancellazione memoria.”
È così, quando una persona fa la richiesta di andarsene, che i ricordi passati in agenzia vengono cancellati e sostituiti con altri a sua scelta, grazie al RimotionMemories, un casco di latta fatto di apparecchiature tecnologicamente avanzate. Ci fu un lampo all'interno del casco. La persona era ormai caduta in un sonno profondo, in modo che il congegno faccia il proprio lavoro. L'agenzia non poteva permettersi il rischio di lasciare liberi ex-dipendenti del dipartimento in giro per la città. Avrebbero potuto spifferare a chissà chi le notizie dell'agenzia, il che significa rivelare a persone non idonee certe informazioni.
E questo non doveva assolutamente accadere.
Il processo RM, ovvero RimotionMemories, era stato attuato, dopodiché l'agente non poteva più tornate indietro, il che significa che non poteva più ritornare a far parte del dipartimento, e la sua vita ritornerà com'era un tempo.
L'agente Mord, il sovraintendente dell'agenzia posò le mani in tasca nell'attesa che finisse il processo, e scrutò affondo quella sedia, su cui era seduto un suo futuro ex-dipendente, con occhi malinconici. Era sempre difficile dire addio ad un agente, anche se avesse dovuto esserci abituato.
«Era un buon agente... Un peccato che se ne sia andato.»
«Quando passi troppo tempo con una doppia vita dopo ti chiedi a quale parte di essa appartieni...» Disse una voce alle sue spalle, sospirando. Si trattava dell'agente Key, il Vice.
La voce dell'apparecchio elettronico disse ancora con tono incolore: “Processo RimotionMemories, completato.” Ci fu un altro lampo e il casco finì la sua funzione.
L'agente Mord trasse un profondo respiro.
«Forse hai ragione...»
Si allontanarono dal loro futuro ex-agente, e lo lasciarono lì, aspettando che il congegno gli rinnovi la parte dei ricordi e del tempo trascorso in agenzia, sostituendoli con altri da lui desiderati...
Jonathan Jackson era seduto compostamente al tavolo del suo bar di fiducia aspettando il suo amato Tè mattutino. Era ormai un cliente abituale e considerava il Tè del "BlueSky Bar" il più raffinato di tutta New York. Abbigliato in giacca e cravatta come un vero Dongiovanni, alzò il braccio destro per dare una sbirciatina all'orario. Non che ce ne fosse bisogno, sia chiaro, il Tè lo prendeva puntualmente ogni dì alle 11:30. Quella mattina era più agitato del solito.
Fortunatamente venne Tracy, la cameriera addetta ai tavoli, una dolce ragazza sui vent'anni composta e signorile, a deliziargli gli occhi tenendo il mano il vassoio con la tazza piena di Tè fumante. La ragazza, scostandosi la ciocca di capelli biondi dalla fronte salutò amabilmente il suo ospite.
«Con due zollette di zucchero!» Esclamò raggiante, quasi come fosse un benvenuto abituale.
«Come sempre!» Disse lui ricambiando il sorriso, la fragranza della bevanda gli inebriò le narici e Jonathan incominciò a sorseggiare poco il suo elisir, come al solito dolce e piacevole.
Sarebbe potuto benissimo sembrare un capoufficio o un giovane imprenditore, con quella sua postura signorile ma sportiva, con il braccio appoggiato al bracciolo della sedia, l'altro portato poco sotto il mento, tenente la tazza, le gambe leggermente divaricate, e per non parlare dei suoi capelli corvini dal tagio fresco e giovanile e i suoi occhi scuri e penetranti... Insomma, la sua presenza non passava di certo inosservata.
Era sempre un po' agitato quando gli affidavano una nuova missione, nonostante ne avesse fatte tante da aver perso il conto. Nel suo campo era molto riconosciuto e quindi rispettato, per la sua professionalità.
Quella mattina, però, gli aspettava un incarico assai importante, dove avrebbe messo persino messo in gioco la sua vita.
Finì di gustarsi il suo Tè e si guardò attorno. Si accorse che il benessere della routine quitiniava lo tranquillizzava. Quasi gli mancavano i giorni in cui era un semplice neo-laureato, tirocinante nel campo dell'economia aziendale. Avrebbe avuto una ragazza con cui passare le giornate, a cui non nasconderebbe niente, uscire la sera e divertirsi senza stare col fiato sul collo di essere scoperto o, peggio ancora, ucciso.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillar del cellulare, riportandolo con la mente al giorno d'oggi. Rispose al primo squillo senza neanche accertarsi chi fosse il mittente, siccome già se l'aspettava.
«Agente JJ, ti aspetto in agenzia.»
«Capo, aspettavo una sua chiamata.» Disse lui sorridente, quasi come se avesse potuto farglielo percepire. «E comunque, buongiorno!»
«È una questione di vita o di morte.» Disse l'agente Mord, con una sfumatura di amaro nella sua voce. «E buongiorno anche a te.»
E staccò la chiamata.
Dall'agitazione del sovrintendente, Jonathan capì che si trattava qualcosa di veramente importante, e il suo "questione di vita o di morte" non gli piaceva affatto. Improvvisamente avvertì dentro di se una strana pressione, come un brutto presentimento, ma si trattenne dall'allargarsi la cravatta.
Senza neanche aspettare che la dolce Tracy ritorni al tavolo, entrò dentro al bar posando i soldi, dimenticando anche di ritirare lo scontrino. Non che ne avesse bisogno, lo sapeva benissimo il prezzo di un Tè al tavolo, e incominciò ad incamminarsi verso casa sua che si trovava a quattro isolati da lì. Neanche più un Tè poteva prendere in santa pace!
Era una bella giornata soleggiata, ma non fu altrettanto bella la vista dei vicini che bisticciavano animatamente per la cacca di Lucky, il cane del signor Trevis, che aveva fatto nel giardino della signora Smith. Jonathan non poteva credere alle proprie orecchie, per le non poco volgari parolacce che esclamava la Smith; e dire che di solito era così dolce e pacata, pensò il giovane.
Quella scena dava a desideraree e per non immischiarsi, corse subito in casa senza neanche salutarli. Ad un tratto gli sembrò surreale la tranquillità che regnava lì dentro rispetto al caos, a pochi metri di distanza. Attraversò il largo corridoio, arrivò al soggiorno e scavò nel cassetto del mobile a muro, dove poco sopra si trovava, in una rientranza, un televisore al plasma. Trovò le chiavi della sua Mercedes nero brillante e corse in garage, usando la porta di sicurezza situata nel corridoio, e salì a bordo della sua bella auto facendo risuonare il rimbombo del motore, simile ad un ruggito di un leone.
Jonathan fece aprire il cancello elettronico e partì, sfrecciando a tutto gas verso l'agenzia.
Si fermò davanti al solito tombino dietro un ghetto, quelle palazzine sbarricate dove abitavano le famiglie povere, oppure quei padri ubriaconi che non avevano nient'altro da fare se non bere e sfogarsi. Prese la torcia ed uscì fuori dall'auto, chiudendola a chiave.
L'aria di quel posto era sempre più intrisa d'immondizia, polvere e smoog , e il sole arrivava poco da quelle parti. Ma ormai Jonathan era abituato per le innumerevoli volte che aveva scavavalcato quel cancelletto. Anche se era giorno, a quell'ora era sempre deserto quel posto, perché le persone o erano piccoli operai sfruttati senza titolo di studio, e quindi costretti a lavorare come schiavi fin dal primo mattino, oppure altri dormivano fino a tardi. Quindi aprì il tombino e scivolò dentro.
Se l'aria fuori puzzava, quella di là dentro era un fetore immondo, e a quello l'agente non ci si sarebbe mai abituato. Scese la rampa di scale in fretta, gli scalini erano sempre scivolosi perché pieni di unto, e andò procedendo per la sua destra, accendendo la torcia che lui stesso chiamò "Solar" a causa della potenza di watt: con solo quel marchingegno si poteva illuminare un campo di calcio.
Quella fogna era sempre piena di topi e le ragnatele arrivavano a toccargli la testa. Arrivò ad una porta simile a quella di un ripostiglio chiusa a chiave, l'aprì e si ritrovò in una camera stretta, le pareti in acciaio e di fronte a lui un'altra porta. Quello stanzino era tutto simile ad un'ascensore di stazione molto spazioso. Affianco alla porta vi era un congegno a rilevamento. Jonathan prese, quindi, il suo tesserino e lo passò nel rilevatore, per poi pigiare alcuni tasti della tastiera. E fu così che anche quella porta si aprì, le due porte si dilatarono finché non scomparvero nel muro rivelando, come il tesoro della caverna dei quaranta ladroni, un corridoio tutto illuminato. Della Solar Jonathan non ne aveva più bisogno, così la spense. S'avviò nel corridoio super-illuminato con noncuranza e tranquillità, superando la trappola dei laser con la sua agilità da ex-ginnasta e si ritrovò di fronte ad un medesimo rilevatore. Jonathan pigiò un tasto e la voce del computer rimbombò per tutto il largo corridoio.
“Password Vocale.”
Per quante volte l'avrebbe ascoltata, quella voce metallica lo inquietava sempre. Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.
«JJ, Agente del dipartimento S.I.C.»
Disse, con voce risoluta e calma, aspettando la risposta affermativa della macchina.
“Riconoscimento voce: affermativo. Password accettata.”
Il ragazzo aprì gli occhi e quasi trattenne il respiro. Era sempre una stranza pressione capire di stare entrando in una società segreta. La voce del computer risuonò ancora, una volta che si aprirono le porte.
“Bentornato, agente JJ.”
Jonathan avanzò nel suo ambiente.
Il dipartimento S.I.C., era completamente diverso sotto ogni aspettativa, e non somigliava neanche minimamente ad una normale agenzia.
Si rasserenò ritrovandosi davanti il distributore di caramelle - l'unica cosa normale lì dentro, ma per quale motivo fosse stato messo lì è tutt'oggi un mistero - che era molto simile al distributore di giocattolini a gettone, con la campana di vetro a sfera, posta sopra un pilastro in acciaio laccato in rosso. L'unica differenza era che bastava girare la manopola, per far scendere le caramelle. L'avevano battezzata "Mrs. Candy", ma il perché avessero dato una nomina a quel distributore era anch'esso un mistero.
L'agente percorse il tragitto fino ad arrivare alla scrivania della signora Bridget, la donna che stava alla portineria. Lei era una signora tutta paffuta e sempre sorridente, che andava sulla cinquantina. Jonathan era molto educato e non si permise affatto di chiederle l'età, anche se avrebbe voluto davvero tanto conoscerla. La scrivania era piena delle sue scartoffie e dei dati del computer alla quale lei ci lavorava giorno e notte, senza mai staccarsi. Infatti al posto delle lenti aveva due fondi di bicchiere, per quanto fosse miope.
Salutò, quindi, l'agente JJ con un largo e pimpante sorriso da stregatto e ritornò al suo computer.
Il ragazzo prese la sua caramella da Mrs.Candy e gli era proprio capitata una al gusto di arancia, la sua preferita.
«Caramella gusto arancia, uno schiaffo sulla guancia!»
Esclamò JJ, colpendo leggermente il viso di Bruce, un suo collega agente del quale era molto amico.
«Maledetta Mrs. Candy, sono sicuro che faccia apposta a far uscire la caramella all’arancia ogni volta che ho il mal di denti!»
Esclamò Bruce in tono alterato, spostandosi i capelli biondi all'indietro. Era un tic che aveva da sempre. JJ si fece scappare una risatina mentre proseguì verso l'ufficio del capo, non prima di essere distratto da un enorme quadro sul muro raffigurante il sovrintendente Mord. JJ fermò l'inserviente delle pulizie, di cui nessuno sapeva il nome, e gli chiede da quando quel quadro fosse lì e soprattutto perché. L'inserviente rispose semplicemente: «Voleri del boss JJ, sai quanto è megalomane ed egocentrico.»
Proprio mentre si apprestava a bussare la porta di Mord, il cellulare gli squillò. Era un numero anonimo, e JJ si allontanò di qualche metro prima di rispondere.
«Pronto.»
«… … …»
Solo silenzio.
L'agente chuse la chiamata infastidito e si riavvicinò alla porta dell'ufficio del capo. Davanti ad essa però, a bloccargli l'accesso, c'era un uomo alto più o meno due metri, e muscoloso, che il ragazzo non aveva mai visto.
«Devo entrare.» Disse JJ, in tono placido.
L'energumeno si spostò, aprì la porta ed entrò nell'ufficio, invitando JJ a fare lo stesso. Una volta entrati chiuse la porta alle loro spalle. L'agente era impaziente di sentire quale missione gli aveva affidato il sovrintendente.
Lo vide con lo sguardo incollato allo schermo del monitor gigante con occhi vacui, ma quando vide il ragazzo sulla soglia della porta spense subito il monitor con il telecomando, allarmato. Ma Jonathan riuscì a vedere la foto, anche se per un battito di ciglio. Si trattava di un uomo giovane, vestito in modo elegante, solo che sfortunatamente non riuscì a distinguerne bene i tratti somatici del volto.
«Eccoti qui Jackson.» Disse il capo facendo un profondo respiro, poi proseguì: «Vedo che hai già conosciuto Martin.»
«Chi? Quel colosso?» Disse JJ, indicando con il pollice la porta.
«Sarà uno dei tuoi compagni di squadra.» Disse con noncuranza il sovrintendente Mord mentre estraeva il suo walkitalky dalla tasca, facendo sembrare il turbamento di prima una sciocca immaginazione. Allungò la ricezione ed aprì lo sportellino nero, dopodiché se lo posò all'orecchio. Attese per qualche secondo poi parlò, sotto lo sguardo incuriosito e indagatore del suo subalterno. Disse solo: «Agente R, la attendo nel mio ufficio. Passo.»
“Agente R?” Pensò JJ, inarcando lievemente un sopracciglio. “È un nome che non ho mai sentito... Mi hanno affibbiato tutti agenti che non conosco, cavolo!” Tuttavia JJ si ritrovò a ripensare al volto visto in quella foto. Un uomo giovane, probabilmente poco sotto la quarantina, con capelli scuri e carnagione chiara. Si chiese chi fosse, se magari avesse fatto parte dell'agenzia e se centrasse in qualche modo con la missione che doveva portare a termine... Il suo pensare venne interrotto dalla porta che si apriva nuovamente. Entrò nel capo-ufficio una donna minuta, dai capelli corti rossi e sbarazzini e con una tuta di jeans scura, il colletto aperto in modo da far risaltare le forme. Lo sguardo affascinante, dagli occhi grandi e verdi. Guardò JJ con leggero stupore, poi però subito rivolse la propria attenzione a Mord, che era ormai in piedi.
«Signore...» Incominciò lei, facendo un cenno col capo. Aveva una voce molto cristallina, notò Jonathan. Il sovrintendente sorrise.
«Agente JJ, vi prensento la vostra compagna di squadra.»
La donna s'avvicinò al collega porgendogli la mano, sorrise affabile.
«Sarò lieta di lavorare con voi.»
RORYJACKSON- INVINCIBLE
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
La storia si fa interessanteeeee!!!!!!!!! Continua presto, Rositaaa!!
E cmq bravi ad entrambi
E cmq bravi ad entrambi
KrisMichael- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Bellissimo il primo capitolo! Hai modificato molto bene e in meglio la mia parte, brava davvero Rory
2 Bad- Greatest Entertainer of All Time
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Località : Monopoli (BA)
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
I complimenti al mio editor, per favore!
Erano quasi le ventidue di sera, mancavano solo due minuti.
La città era piena delle luci delle abitazioni e dei palazzi, come d'altronde, Napoli, lo era da sempre, essendo una città molto popolata.
L'uomo era all'interno del suo ufficio che scrutava il paese dalla parete di vetro, con sguardo vacuo. La grande stanza che consisteva nel suo ufficio da capo-azienda di linee telefoniche, la Telecom Italia, era piena del buio che penetrava dall'esterno, la grande scrivania moderna e la sua poltrona di pelle erano perse nell'oscurità e gli enormi quadri posti sul muro erano come macchie quadrate e rettangolari indistinte. Anche se non si poteva capirlo, era un gran bell'ufficio. Come lo si poteva aspettare da una grande azienda telefonica quale la telecom.
Era lì fermo ad osservare, aspettando il momento opportuno di agire. In realtà doveva solo fare una telefonata, ma questo bastava a farlo rimanere di buon umore. Era lì, solo, che scrutava le luci della città, con sguardo vacuo e un sorrisetto come stampato sul suo viso, le mani tenute impazienti in tasca, che fremevano dall'impazienza. Non aspettava altro che fare quella telefonata. S'allontanò dal vetro, per avviarsi al centro della stanza, sbirciò l'orario dall'orologio e vide che erano spaccate le ventidue. Prese il suo Samsung Galaxy dal taschino interno della giacca viola e digitò un numero, senza neanche aggiungere il prefisso privato, perché quel telefono era stato costruito solo per questo intento.
Tante cose le persone, ignari nella loro troppo umile vita da stenti, beati nella loro ignoranza; non avrebbero mai potuto sapere quello che in realtà circolava nelle alte società. Quello che circolava all'interno di "quella" società. La tecnologia si era sviluppata tantissimo nell'ultimo secolo, ma le persone che vivevano all'esterno di tutto questo non potevano sapere quello che la tecnologia era in grado di fare. Quanto gli uomini sono stati in grado di fare...
Attese in linea per pochi secondi.
«Pronto.»
Si sentì la voce, forte e ferma, di un uomo giovane, forse poco al di sotto della trentina. L'uomo non rispose, si limitò a tenere il telefono incollato all'orecchio, mentre il ragazzo s'affrettò a staccare il cellulare con leggera adirazione. L'individuo abbassò il cellulare, bloccandolo, mentre un sorriso sghembo s'insinuava sul suo viso, che presto diventò un ghigno.
Adesso conosceva la sua posizione.
Adesso sapeva dove andare a cercare.
L'agente JJ rimase meravigliato dalla stretta della donna. Era tanto gracile quanto forte, si accorse, e comparata all'agente Martin che le era alle spalle a braccia conserte, con espressione indecifrabile, sembrava una bambolina di porcellana piccola e fragile. Aveva degli occhi verde scuro che catturavano, JJ dovette ammettere anche questo. Rimase a contemplarla per qualche minuto e se il sovrintendente Mord non avesse tossito in quel preciso momento, il ragazzo ne sarebbe rimasto rapito.
«Li hai squadrati per bene?» Disse lui, e l'agente non capì se quella frase era ironica oppure era una semplice domanda. Decise di rispondere con tale tono. Lei l'aveva squadrata per bene, eccome. Deglutì e fece una smorfia appena accennata.
«Si, signore.»
«Bene, come ti ho detto, questi saranno i membri della tua nuova squadra» Continuò l'agente Mord. «Selezionati da me personalmente.»
C'era una certa atmosfera nell'aria, era abbastanza opprimente, se non addirittura pesante. Questo, forse, perché al giovane gli erano stati affibbiati agenti che non conosceva affatto, ma nell'agente R c'era qualcosa che non gli andava, come se quasi mettesse in soggezione, o forse perché era la prima volta che aveva una donna in squadra... Cercò di non dare troppo peso a questi pensieri e si concentrò sulla missione della quale a momenti ne avrebbe conosciuto la traccia.
L'agente Mord andò a sedersi alla sua sedia di pelle nera intrecciando armoniosamente le dita e appoggiò i gomiti alla scrivania bianca e moderna, un gesto che faceva sempre quando voleva mettere in soggezione un suo subalterno, ma proprio con Jonathan non funzionava. Aveva pienamente ragione l'inserviente delle pulizia: era un grandissimo megalomane ed un egocentrico senza misure.
JJ lo seguì a ruota sedendosi sulla sedia, proprio di fronte al suo capo, l'agente R si avvicinò di un passo a con sguardo attento, rimanendo in piedi con la sua postura signorile ed elegante, mentre l'agente Martin rimase dov'era, sempre nella stessa posizione, e con la sua solita espressione da ebete.
«Bene, dimmi allora di che si tratta.» Esclamò JJ, appoggiandosi con l'avambraccio alla scrivania.
«Sarò franco agenti.» Disse Mord senza neanche battere ciglio. «C'è in rischio non solo noi, e con noi intendo tutti il dipartimento SIC. Avremo a che fare anche con gente che adesso sta vivendo una vita normale al di fuori di questo quadro.»
Il tono di Mord era forte e coinciso, quasi come se volesse sottolineare: "Non lo ripeterò una seconda volta, quindi ascoltatemi bene, razza di deficienti".
Si sporse indietro, affondando la schiena nello schienale della sua poltrona in pelle nera e prese un telecomando digitale, pigiò un tasto e comparì nel grosso schermo al plasma incastrato alla parete un uomo, giovane e con un'espressione molto affabile sul viso, con un sorriso che ispira sicurezza e una grande professionalità nel proprio lavoro. L'abbigliamento era quella del dipartimento SIC... Strano, JJ non aveva mai visto quell'uomo in giro. Eppure era da diverso tempo che faceva parte del dipartimento.
JJ corrugò le sopracciglia, un gesto che faceva sempre quando era incuriosito, il che accadeva quasi con tutte le missioni che gli erano state affidate. L'agente R rimase ferma dov'era, mentre Martin con quella sua postura flocia, quasi inadatta alla sua statura da palestrato, guardava il televisore con un'interesse appena accennato.
«Quest'uomo» Disse Mord, «Fece parte tempo fa del dipartimento SIC, quando io ancora non ero il sovrintendente dell'agenzia. Chiese di ritornare ad una vita normale e noi glielo concedemmo.» Disse sottolineando "Sovrintendente dell'agenzia". «Fu una grossa perdita per noi. La sua nomina era: Agente V. Non posso rivelarvi il suo nome per motivi di Privacy.» A JJ gli venne di nuovo in mente quel quadro, poco fuori l'ufficio.
Poi pigiò nuovamente sul telecomando e apparvero una sfilza di volti alla rinfusa. Chi più giovani, chi più adulti, alcuni erano anche conosciuti da JJ, volti che non avrebbe mai più potuto salutare, né volgergli uno sguardo né niente.
Dopodiché Mord si fermò sulla foto di un albergo. Era un albergo molto lussuoso ed elegante. “Dovrei passarci qualche fine settimana.” Pensò JJ, “appena finirò questa missione, magari.” Poi passò alla foto di un computer. Era un computer portatile di queste generazioni, molto piccolo e nero, simile ad un notebook. Era un apparecchio molto vecchio, per i normali parametri dell'agenzia. Sembrava un Notebook normale, come ogni altro piccolo computer esistenti lì fuori.
«In questo computer è nascosto un microcip.» Disse Mord, sospirando. Ed era un' altra cosa che non conosceva JJ, una delle tante altre. Nella faccia del ragazzo s'insinuò una smorfia contraddittoria appena accennata, e anche se Mord sembrava così pieno di se da non accorgersene, l'agente R tossì leggermente e JJ si voltò per guardarla. R gli lanciò un'cchiata ammonitrice, a metà tra un avvertimento, a metà di divertimento.
Quel mondo era pieno di segreti, e lui, proprio perché erano diversi anni che faceva parte del SIC, avrebbe dovuto conoscere tutto di quel posto impossibile. Invece, più rimaneva e più capiva di svolgere lavori nella più beata ignoranza.
«In questo Cip sono stati inseriti dei codici criptati, di cui solo l'agenzia ne è a conoscenza.» Disse. “Si, certo, e come no.” Pensò JJ indignato. Ma non protestò, non era nelle posizioni adeguate, per poter ammonire un superiore.
«Ma se riescono a decifrare questi codici...» Mord si fermò, posò il telecomando e con un battito di mani spense lo schermo. JJ lo guardò divertito, dopodiché il sovrintendente si sedette nuovamente, con la stessa postura balorda di prima.
«Ci saranno conseguenze catastrofiche, che porteranno ad una guerra disastrosa.» Disse, poi dopo aver confermato loro alcuni detta gli dell'impresa, congedò i suoi subalterni. Mentre JJ si stava incamminado dietro i suoi compagni di squadra Mord lo chiamò.
«Ah, JJ.» Esclamò. «All'Hotel Vesuvio ci vai per compiere una missione, non per passarci il fine settimana. Chiaro?»
Capitolo II
Nuovi agenti
Nuovi agenti
Erano quasi le ventidue di sera, mancavano solo due minuti.
La città era piena delle luci delle abitazioni e dei palazzi, come d'altronde, Napoli, lo era da sempre, essendo una città molto popolata.
L'uomo era all'interno del suo ufficio che scrutava il paese dalla parete di vetro, con sguardo vacuo. La grande stanza che consisteva nel suo ufficio da capo-azienda di linee telefoniche, la Telecom Italia, era piena del buio che penetrava dall'esterno, la grande scrivania moderna e la sua poltrona di pelle erano perse nell'oscurità e gli enormi quadri posti sul muro erano come macchie quadrate e rettangolari indistinte. Anche se non si poteva capirlo, era un gran bell'ufficio. Come lo si poteva aspettare da una grande azienda telefonica quale la telecom.
Era lì fermo ad osservare, aspettando il momento opportuno di agire. In realtà doveva solo fare una telefonata, ma questo bastava a farlo rimanere di buon umore. Era lì, solo, che scrutava le luci della città, con sguardo vacuo e un sorrisetto come stampato sul suo viso, le mani tenute impazienti in tasca, che fremevano dall'impazienza. Non aspettava altro che fare quella telefonata. S'allontanò dal vetro, per avviarsi al centro della stanza, sbirciò l'orario dall'orologio e vide che erano spaccate le ventidue. Prese il suo Samsung Galaxy dal taschino interno della giacca viola e digitò un numero, senza neanche aggiungere il prefisso privato, perché quel telefono era stato costruito solo per questo intento.
Tante cose le persone, ignari nella loro troppo umile vita da stenti, beati nella loro ignoranza; non avrebbero mai potuto sapere quello che in realtà circolava nelle alte società. Quello che circolava all'interno di "quella" società. La tecnologia si era sviluppata tantissimo nell'ultimo secolo, ma le persone che vivevano all'esterno di tutto questo non potevano sapere quello che la tecnologia era in grado di fare. Quanto gli uomini sono stati in grado di fare...
Attese in linea per pochi secondi.
«Pronto.»
Si sentì la voce, forte e ferma, di un uomo giovane, forse poco al di sotto della trentina. L'uomo non rispose, si limitò a tenere il telefono incollato all'orecchio, mentre il ragazzo s'affrettò a staccare il cellulare con leggera adirazione. L'individuo abbassò il cellulare, bloccandolo, mentre un sorriso sghembo s'insinuava sul suo viso, che presto diventò un ghigno.
Adesso conosceva la sua posizione.
Adesso sapeva dove andare a cercare.
L'agente JJ rimase meravigliato dalla stretta della donna. Era tanto gracile quanto forte, si accorse, e comparata all'agente Martin che le era alle spalle a braccia conserte, con espressione indecifrabile, sembrava una bambolina di porcellana piccola e fragile. Aveva degli occhi verde scuro che catturavano, JJ dovette ammettere anche questo. Rimase a contemplarla per qualche minuto e se il sovrintendente Mord non avesse tossito in quel preciso momento, il ragazzo ne sarebbe rimasto rapito.
«Li hai squadrati per bene?» Disse lui, e l'agente non capì se quella frase era ironica oppure era una semplice domanda. Decise di rispondere con tale tono. Lei l'aveva squadrata per bene, eccome. Deglutì e fece una smorfia appena accennata.
«Si, signore.»
«Bene, come ti ho detto, questi saranno i membri della tua nuova squadra» Continuò l'agente Mord. «Selezionati da me personalmente.»
C'era una certa atmosfera nell'aria, era abbastanza opprimente, se non addirittura pesante. Questo, forse, perché al giovane gli erano stati affibbiati agenti che non conosceva affatto, ma nell'agente R c'era qualcosa che non gli andava, come se quasi mettesse in soggezione, o forse perché era la prima volta che aveva una donna in squadra... Cercò di non dare troppo peso a questi pensieri e si concentrò sulla missione della quale a momenti ne avrebbe conosciuto la traccia.
L'agente Mord andò a sedersi alla sua sedia di pelle nera intrecciando armoniosamente le dita e appoggiò i gomiti alla scrivania bianca e moderna, un gesto che faceva sempre quando voleva mettere in soggezione un suo subalterno, ma proprio con Jonathan non funzionava. Aveva pienamente ragione l'inserviente delle pulizia: era un grandissimo megalomane ed un egocentrico senza misure.
JJ lo seguì a ruota sedendosi sulla sedia, proprio di fronte al suo capo, l'agente R si avvicinò di un passo a con sguardo attento, rimanendo in piedi con la sua postura signorile ed elegante, mentre l'agente Martin rimase dov'era, sempre nella stessa posizione, e con la sua solita espressione da ebete.
«Bene, dimmi allora di che si tratta.» Esclamò JJ, appoggiandosi con l'avambraccio alla scrivania.
«Sarò franco agenti.» Disse Mord senza neanche battere ciglio. «C'è in rischio non solo noi, e con noi intendo tutti il dipartimento SIC. Avremo a che fare anche con gente che adesso sta vivendo una vita normale al di fuori di questo quadro.»
Il tono di Mord era forte e coinciso, quasi come se volesse sottolineare: "Non lo ripeterò una seconda volta, quindi ascoltatemi bene, razza di deficienti".
Si sporse indietro, affondando la schiena nello schienale della sua poltrona in pelle nera e prese un telecomando digitale, pigiò un tasto e comparì nel grosso schermo al plasma incastrato alla parete un uomo, giovane e con un'espressione molto affabile sul viso, con un sorriso che ispira sicurezza e una grande professionalità nel proprio lavoro. L'abbigliamento era quella del dipartimento SIC... Strano, JJ non aveva mai visto quell'uomo in giro. Eppure era da diverso tempo che faceva parte del dipartimento.
JJ corrugò le sopracciglia, un gesto che faceva sempre quando era incuriosito, il che accadeva quasi con tutte le missioni che gli erano state affidate. L'agente R rimase ferma dov'era, mentre Martin con quella sua postura flocia, quasi inadatta alla sua statura da palestrato, guardava il televisore con un'interesse appena accennato.
«Quest'uomo» Disse Mord, «Fece parte tempo fa del dipartimento SIC, quando io ancora non ero il sovrintendente dell'agenzia. Chiese di ritornare ad una vita normale e noi glielo concedemmo.» Disse sottolineando "Sovrintendente dell'agenzia". «Fu una grossa perdita per noi. La sua nomina era: Agente V. Non posso rivelarvi il suo nome per motivi di Privacy.» A JJ gli venne di nuovo in mente quel quadro, poco fuori l'ufficio.
Poi pigiò nuovamente sul telecomando e apparvero una sfilza di volti alla rinfusa. Chi più giovani, chi più adulti, alcuni erano anche conosciuti da JJ, volti che non avrebbe mai più potuto salutare, né volgergli uno sguardo né niente.
Dopodiché Mord si fermò sulla foto di un albergo. Era un albergo molto lussuoso ed elegante. “Dovrei passarci qualche fine settimana.” Pensò JJ, “appena finirò questa missione, magari.” Poi passò alla foto di un computer. Era un computer portatile di queste generazioni, molto piccolo e nero, simile ad un notebook. Era un apparecchio molto vecchio, per i normali parametri dell'agenzia. Sembrava un Notebook normale, come ogni altro piccolo computer esistenti lì fuori.
«In questo computer è nascosto un microcip.» Disse Mord, sospirando. Ed era un' altra cosa che non conosceva JJ, una delle tante altre. Nella faccia del ragazzo s'insinuò una smorfia contraddittoria appena accennata, e anche se Mord sembrava così pieno di se da non accorgersene, l'agente R tossì leggermente e JJ si voltò per guardarla. R gli lanciò un'cchiata ammonitrice, a metà tra un avvertimento, a metà di divertimento.
Quel mondo era pieno di segreti, e lui, proprio perché erano diversi anni che faceva parte del SIC, avrebbe dovuto conoscere tutto di quel posto impossibile. Invece, più rimaneva e più capiva di svolgere lavori nella più beata ignoranza.
«In questo Cip sono stati inseriti dei codici criptati, di cui solo l'agenzia ne è a conoscenza.» Disse. “Si, certo, e come no.” Pensò JJ indignato. Ma non protestò, non era nelle posizioni adeguate, per poter ammonire un superiore.
«Ma se riescono a decifrare questi codici...» Mord si fermò, posò il telecomando e con un battito di mani spense lo schermo. JJ lo guardò divertito, dopodiché il sovrintendente si sedette nuovamente, con la stessa postura balorda di prima.
«Ci saranno conseguenze catastrofiche, che porteranno ad una guerra disastrosa.» Disse, poi dopo aver confermato loro alcuni detta gli dell'impresa, congedò i suoi subalterni. Mentre JJ si stava incamminado dietro i suoi compagni di squadra Mord lo chiamò.
«Ah, JJ.» Esclamò. «All'Hotel Vesuvio ci vai per compiere una missione, non per passarci il fine settimana. Chiaro?»
RORYJACKSON- INVINCIBLE
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Ottimo capitolo. è perfetto! Mi è piaciuta tantissimo l'idea di raccontare dell'uomo che chiamò JJ prima di entrare nella stanza di Mord. E' un ottimo metodo di sceneggiatura, brava davvero
2 Bad- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Grazie a te per aver... Insomma, lo sai.
Complimenti Ale
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- Spoiler:
RORYJACKSON- INVINCIBLE
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
Grazie
Un applauso va anche a te però
Un applauso va anche a te però
- Spoiler:
2 Bad- Greatest Entertainer of All Time
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Re: S.I.C. (Romanzo a quattro mani.)
XDDD Grazie...
Oddio, quando sto ridendo
Oddio, quando sto ridendo
RORYJACKSON- INVINCIBLE
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