Le "teste parlanti" che creano informazione manipolata e la legge sulla diffamazione che non protegge le persone defunte - articolo di Charles Thomson
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Le "teste parlanti" che creano informazione manipolata e la legge sulla diffamazione che non protegge le persone defunte - articolo di Charles Thomson
l'articolo fa riferimento all'argomento trattato in questo link
https://michaeljackson.forumattivo.com/t12915-diane-dimond-la-giornalista-piu-accanita-contro-michael-in-vita-continua-la-sua-diffamazione-anche-dopo-la-morte
E' un articolo dello scorso anno, ma l'ho trovato attualissimo, alla luce delle recenti vicende (leggi Fiddes, ma non solo) e interessante.
L'attuale legge sulla diffamazione ci dice che una volta che una persona è morta non ha più una reputazione da difendere....
I media utilizzano fonti di parte per perpetuare le menzogne, esprimendo opinioni che i giornalisti non possono eticamente esprimere. Perché noi restiamo fedeli a leggi sulla diffamazione arcaiche che incoraggiano attivamente questo comportamento?
Nel mese di aprile 2008 ho acquistato con entusiasmo l'ultima edizione di GQ magazine. Dentro c'era un lungo servizio dal titolo "Papa", che si proponeva di esplorare gli ultimi anni della vita di James Brown e il groviglio di questioni giuridiche che seguirono la sua morte. Al momento ero coinvolto in una approfondita ricerca per un mio articolo su James Brown che esplorava i suoi ultimi anni e, in particolare, il suo ultimo album. Il pezzo sarebbe stato pubblicato nel maggio 2009 in una rivista chiamata Jive (e mi avrebbe fatto vincere un Guardian Award). Oltre ad essere entusiasta di leggere l'articolo di GQ ero anche preoccupato del fatto che GQ mi potesse precedere, facendo sembrare il mio articolo approfondito come un rimaneggiamento.
Non avrei dovuto preoccuparmi. Quello che ho trovato nelle pagine di GQ magazine erano dettagli inutilmente espliciti della vita sessuale di Brown nella sua vecchiaia, interviste con una serie di fonti altamente discutibili e persino una spudorata affermazione dell'autore che Brown era uno stupratore, tutti elementi sommati a una delle peggiori diffamazioni di un individuo che io abbia mai letto. In parole povere, era un attacco malevolo.
Gli intervistati principali includevano un uomo di nome Roosevelt Johnson, che si vanta oggi su Internet di possedere il vecchio flacone di Viagra® di Brown, e una signora di nome LaRhonda Pettit, una figlia illegittima di Brown che, all'inizio del 2010, ha scatenato una tempesta nei media sostenendo che il corpo di suo padre era stato rubato dalla sua cripta. "Il corpo del mio papà è scomparso", ha detto al giornale Globe. "Non ho idea di dove sia stato portato". Sono stato il primo giornalista al mondo che si è preso la briga di contattare i figli di Brown e chiedere se la storia fosse vera, piuttosto che semplicemente copiare e incollare senza verificare i fatti. Inutile dire, il corpo non era stato rubato. Le affermazioni della Pettit erano del tutto infondate. Questo era il calibro degli intervistati di GQ.
Le intrusioni di GQ nella vita privata Brown erano numerose e inutilmente esplicite, senza alcun valore di sorta per l'interesse pubblico. Includevano anche la discussione delle sue posizioni sessuali preferite e i dettagli dei presunti falliti incontri sessuali nella sua vecchiaia, tutti correlati da fonti più traballanti di una casa di carte in un terremoto.
Ma la ciliegina sulla torta era un'intervista con Jacque Hollander, una signora che era solita promuovere se stessa attraverso il suo sito personale sostenendo di essere stata violentata da Brown negli anni '80, incoraggiando i giornalisti a contattarla per interviste. L'unico problema era che l'accusa di stupro della Hollander era così poco valida che è stata respinta dal tribunale in due diverse occasioni. L'autore del pezzo su GQ, Sean Flynn, è andato contro quelle sentenze dei tribunali e ha fornito alla Hollander una piattaforma in cui ripetere le sue accuse. Inoltre Flynn ha vistosamente trascurato di menzionare i fatti chiave che minavano considerevolmente le affermazioni della Hollander, e ha formulato il suo articolo per suggerire che lo stupro fosse un fatto piuttosto che congetture.
Nel gennaio 2005 la Hollander ha tentato di citare in giudizio Brown per la cifra assurda di 106 milioni di dollari, diverse volte il valore totale del patrimonio di Brown. Il punto cruciale della sua causa era che Brown, per il suo presunto stupro del 1988 (uno stupro di cui non aveva mai pensato di parlare a nessuno per 15 anni), era la causa di una deficienza alla tiroide che aveva sviluppato 12 anni dopo.
Sì, davvero.
La Hollander ha sostenuto che nel 2000 le era stata diagnosticata una deficienza della tiroide autoimmune, detta malattia di Graves. Nel 2003 la Hollander cominciò improvvisamente a sostenere che Brown l'aveva violentata armato e che durante l'assalto aveva ricevuto un colpo alla testa. Il 5 gennaio 2005, armata della fragile spiegazione che un colpo alla testa e/o un incidente stressante potrebbero provocare la malattia di Graves, la Hollander ha presentato dei documenti che sostenevano che Brown era la causa della sua malattia, e ha annunciato la sua intenzione di citare in giudizio Brown per oltre 100 milioni di dollari di spese legali e danni. Il caso è stato respinto il 19 giugno 2005. La Hollander ha presentato appello e il suo caso è stato respinto per la seconda volta.
Niente di tutto questo era menzionato nell'articolo di GQ. Invece alla Hollander è stato dato un palco da cui fare accuse sensazionali e non supportate su Brown, e per descrivere la sua morte come "il più incredibile regalo di Natale che Dio poteva farmi". Nessuna menzione è stata fatta da Flynn del fatto che le sue accuse sono state respinte due volte da un tribunale. Nessuna menzione della sua querela squilibrata da 106 milioni di dollari.
Quando si scrivono profili approfonditi o articoli su persone, le informazioni più preziose che si possono ottenere sono le testimonianze di prima mano da chi conosce l'argomento. Ma nella costruzione di una narrazione, è importante garantire che la testimonianza di prima mano che stai mettendo in piedi è affidabile. Quando ho scritto il mio articolo sull'ultimo album di Brown, ho parlato con persone che erano nella stanza con lui quando registrava. Ho parlato a lungo con più di una dozzina di fonti e non ho incluso niente di ciò che pensavo fosse inaffidabile.
La Hollander è la personificazione dell'inaffidabilità, eppure GQ ha scelto di darle una piattaforma, e non era l'unica fonte dubbia che hanno usato nel loro servizio. GQ ha preso una decisione consapevole nel 2008 su chi avrebbero intervistato e chi no. Per una qualche ragione, hanno scelto di dare il pulpito a una processione di fonti inaffidabili, finanziariamente motivate.Si tratta di un mezzo utilizzato sempre dai media per presentare una versione distorta o parziale degli eventi.
Parlando con me di recente riguardo la campagna diffamatoria contro Michael Jackson, la scrittrice Deborah Ffrench ha detto, "La tipica pratica dei media con le notizie su Jackson è stata la tendenza... per venditori di programmi, editori e conduttori di non guardare oltre le scelte più salaci nel selezionare coloro a cui permettono di contribuire a una storia. Questo controllo di 'accesso' ai media dirige con successo il tono e il contenuto di una storia e si traduce spesso nella sua totale riorganizzazione. Questo non accade sempre, ma nel caso di Michael Jackson e innumerevoli altre celebrità di alto profilo o di 'nomi', un processo intenzionale di versione unilaterale è chiaramente evidente".
Ha citato l'esempio di "Michael Jackson: What Really Happened?", un documentario del 2007 di Channel 4 presentato da Jacques Peretti. Affermando di indagare sulle accuse di molestie su minori contro Jackson, il programma era uno degli attacchi peggiori che abbia mai visto. Era ricco di inesattezze lampanti, ma di fatto gran parte dell'inclinazione negativa era dovuta alle decisioni prese prima che qualsiasi filmato fosse stato addirittura girato; in particolare le decisioni su chi sarebbe o non sarebbe stato intervistato.
Lo show era composto da cinque intervistati principali, tre dei quali avevano documentate storie di aver mentito su Michael Jackson, ma nessuno di loro ne ha mai risposto.
Conosciuta per il suo documentare in modo unilaterale su Jackson e accusata in onda da Mike Taibbi della NBC di essere "personalmente impegnata" a vedere Jackson condannato nel suo processo del 2005, la giornalista Diane Dimond ha sostenuto in onda due volte a metà degli anni '90 che esistesse una videocassetta di Jackson che molestava un bambino. Jackson le fece causa e fu dimostrato che il nastro non era mai esistito. Lei riuscì a tirarsi fuori dalla causa con l'aiuto del suo amico Tom Sneddon, il procuratore distrettuale di Santa Barbara che per due volte ha perseguito Jackson con l'accusa di abusi sui minori.
Né di questa né delle innumerevoli altre occasioni in cui ha riferito falsità su Jackson al suo pubblico (come sostenere al "Larry King Live" nel 2003 che "conosceva assolutamente" l'esistenza di lettere d'amore da Jackson a Gavin Arvizo, lettere d'amore di cui è stata accertata la non esistenza) è stato mai detto al pubblico quando Peretti l'ha invitata ad offrire il suo commento durante tutto il documentario.
Il co-imputato della Dimond nella causa per la videocassetta era un uomo di nome Victor Gutierrez. Mentre la Dimond è riuscita a tirarsene fuori, la causa contro Gutierrez è andata avanti. E' stato dimostrato che aveva falsificato l'affermazione circa il video incriminante ed è stato condannato a pagare a Jackson milioni di dollari di danni. Gutierrez è fuggito in Cile e non ha mai tirato fuori il denaro. Niente di tutto questo è stato menzionato quando Peretti ha dato a Gutierrez un'opportunità di parlare nel suo documentario. Invece sia a Gutierrez che alla Dimond è stato permesso di mascherarsi da incontrovertibili esperti su Jackson.
La natura non etica di concedere un "palco" a Gutierrez dopo che in tribunale era stato dimostrato che aveva inventato le storie su Jackson è innegabile, ma omettere intenzionalmente tali informazioni e indurre in errore gli spettatori sulla sua credibilità è la prova concreta di un secondo fine, un fine che era anche dimostrato dall'inclusione del terzo intervistato discutibile, Bob Jones.
Jones era un ex dipendente scontento di Jackson che è stato chiamato al banco dei testimoni al processo della star del 2005 come testimone dell'accusa dopo aver sostenuto nel suo libro che aveva visto Jackson leccare la testa di un ragazzino su un aereo. Tuttavia ha ammesso sotto giuramento che la storia era falsa. Questo non è stato menzionato in nessun punto nello shos di Peretti, durante il quale a Jones è stato dato uno spazio significativo per infamare il suo ex capo.
Dall'altra parte della barricata c'erano due sostenitori di Jackson, l'avvocato Thomas Mesereau e il biografo J. Randy Taraborrelli. Quando ho chiesto a Taraborrelli dello show nel 2008 ha detto: "Penso di ricordarlo ora. Sono sicuro che l'ho odiato. Io di solito li detesto tutti... Ecco perché non li faccio più. Non valgono la frustrazione, per non parlare delle reazioni negative. Non importa quello che dici, troveranno sempre quell'unica frase per sostenere la loro posizione negativa e la useranno. E tu poi devi conviverci per sempre".
Il contributo di Mesereau - l'unico unico vero esperto sulla storia legale di Jackson in tutto il documentario - è stato ridotto a 30 secondi. In un articolo del Guardian's Guide magazine, scritto da Peretti per promuovere il documentario, egli ha tentato di screditare Mesereau presentandolo come un avvocato senza scrupoli delle celebrità che rappresenterebbe chiunque per un compenso adeguato. Ha scritto di Mesereau, "Io non riuscivo nemmeno a sentire quello che diceva per quanto ero fissato su un anello con un gigantesco rubino che aveva al dito che sembrava pulsare".
Ho scritto a Mesereau per la sua risposta a quel tempo e ho ricevuto il seguente messaggio: "Non ho mai visto questo documentario, pertanto non posso commentarlo in modo intelligente. Tuttavia posso parlarle del mio anello con il rubino. E' il mio anello di laurea del 1973 (Harvard University)".
Le decisioni editoriali adottate su chi doveva essere intervistato per lo show di Peretti e come i loro commenti dovevano essere modificati servono come prove evidente che i produttori di programmi cercano di guidare la narrazione in una certa direzione. Oppure, come mi ha detto la Ffrench:
"Per Peretti intervistare e dare considerevole tempo in onda a questi ospiti tutt'altro che obiettivi in un programma che si occupa di accuse molto gravi non solo è dannoso, ma anche deliberato. Jackson era già stato assolto a quel tempo. Non solo una volta, ma una giuria ha assolto Jackson 14 volte. Non c'è niente di più categorico di questo.
"Per Channel 4, una rete televisiva importante, commissionare 'Michael Jackson: What Really Happened' sapendo quale sarebbe stato il suo contenuto, e in seguito, sollecitare contributi chiaramente contaminati per quel programma, indica l'intenzione dei suoi creatori e di chi l'aveva commissionato. Restringendo selettivamente la discussione su un obiettivo dannoso, Peretti e Channel 4 stavano in realtà invitando un pubblico mondiale a ignorare il verdetto del 2005 e ad impegnarsi in speculazioni viziose senza alcun fondamento nei fatti.
"Per tutta la vita di Jackson, e sicuramente dal 1993 in poi, specifici tabloid e reti di 'intrattenimento' hanno pagato fonti altamente sospette con racconti 'dannosi; in alcuni casi hanno effettivamente inseguito gli individui perché inventassero storie accusatorie su Jackson, e persino organi di informazione tradizionali hanno trasmesso copie con alto contenuto salace sulla base di fonti infondate e con dubbi motivi".
La tattica di guidare la narrazione scegliendo 'teste parlanti' con punti di vista negativi è quella che ha prosperato dopo la morte di Jackson. Proprio il mese scorso l'autore Joe Vogel, che ha passato gli ultimi cinque anni facendo ricerche per un libro che esplora la composizione e l'impatto della musica di Michael Jackson, è stato sostituito in un dibattito di HLN (Headline News) su quel tema niente di meno che da... Diane Dimond.
I media sono spesso subdoli nella loro manipolazione di storie e identità. Consentendo alle teste parlanti di esprimere giudizi negativi o salaci, i responsabili dei programmi possono alzare le mani e dire in propria difesa "l'hanno detto loro, non noi!". Ma la realtà è che i produttori dei programmi danno intenzionalmente una piattaforma ai contributori di cui conoscono il sostegno alla loro narrazione preconcetta. Anche la più superficiale delle ricerche dirà a un produttore che se fa parlare Diane Dimond, Victor Gutierrez e Bob Jones in un documentario su Michael Jackson ne ricaverà un sacco di citazioni salaci e atroci accuse - e nessuna sarà particolarmente affidabile.
Che l'intenzione sia quella di accusare di stupro James Brown o di presentare Michael Jackson come un molestatore di bambini, i media manipolano costantemente i resoconti - per gli indici d'ascolto, per soldi, per fini politici. La cosa più inquietante è che dopo la morte dei soggetti di questi racconti manipolati non c'è letteralmente nulla che si possa fare per contrastare questo comportamento vergognoso e immorale.
Secondo le leggi vigenti sulla diffamazione, una volta che una persona è deceduta non c'è nulla di illegale nel chiamarla stupratore o pedofilo. Le leggi sulla diffamazione attuali ci dicono che quando una persona è morta non ha più una reputazione da difendere, il che significa che non importa quello che gli scrittori o le emittenti dicono su di loro, questo non può tecnicamente essere considerato diffamatorio o calunnioso. Queste leggi ridicole creano un clima in cui le emittenti e gli editori possono rendere la più falsa e spregevole accusa di pubblico dominio e non c'è alcuna possibilità di ricorso legale per le famiglie o i gestori dei soggetti.
Non capirò mai come qualcuno possa appoggiare una legge che potrebbe consentire a un giornale, a una rivista, o a uno show radiofonico o televisivo di etichettare il loro caro defunto come uno stupratore o un pedofilo in assenza di qualsiasi prova e lasciarli senza un appiglio legale. L'attuale posizione giuridica è palesemente assurda, ed è per questo motivo che supporto con orgoglio la Cadeflaw (CA [California] Anti-Defamation Law Group Legacy).
thejamcafe-mjtpmagazine.com/issue/facing-the-challenge/article/a-cautionary-tale-of-talki...
- Traduzione a cura di 4everMJJ per MJFanSquare.
In caso di diffusione della traduzione si prega di riportare la fonte, grazie. -
https://michaeljackson.forumattivo.com/t12915-diane-dimond-la-giornalista-piu-accanita-contro-michael-in-vita-continua-la-sua-diffamazione-anche-dopo-la-morte
E' un articolo dello scorso anno, ma l'ho trovato attualissimo, alla luce delle recenti vicende (leggi Fiddes, ma non solo) e interessante.
L'attuale legge sulla diffamazione ci dice che una volta che una persona è morta non ha più una reputazione da difendere....
I media utilizzano fonti di parte per perpetuare le menzogne, esprimendo opinioni che i giornalisti non possono eticamente esprimere. Perché noi restiamo fedeli a leggi sulla diffamazione arcaiche che incoraggiano attivamente questo comportamento?
Nel mese di aprile 2008 ho acquistato con entusiasmo l'ultima edizione di GQ magazine. Dentro c'era un lungo servizio dal titolo "Papa", che si proponeva di esplorare gli ultimi anni della vita di James Brown e il groviglio di questioni giuridiche che seguirono la sua morte. Al momento ero coinvolto in una approfondita ricerca per un mio articolo su James Brown che esplorava i suoi ultimi anni e, in particolare, il suo ultimo album. Il pezzo sarebbe stato pubblicato nel maggio 2009 in una rivista chiamata Jive (e mi avrebbe fatto vincere un Guardian Award). Oltre ad essere entusiasta di leggere l'articolo di GQ ero anche preoccupato del fatto che GQ mi potesse precedere, facendo sembrare il mio articolo approfondito come un rimaneggiamento.
Non avrei dovuto preoccuparmi. Quello che ho trovato nelle pagine di GQ magazine erano dettagli inutilmente espliciti della vita sessuale di Brown nella sua vecchiaia, interviste con una serie di fonti altamente discutibili e persino una spudorata affermazione dell'autore che Brown era uno stupratore, tutti elementi sommati a una delle peggiori diffamazioni di un individuo che io abbia mai letto. In parole povere, era un attacco malevolo.
Gli intervistati principali includevano un uomo di nome Roosevelt Johnson, che si vanta oggi su Internet di possedere il vecchio flacone di Viagra® di Brown, e una signora di nome LaRhonda Pettit, una figlia illegittima di Brown che, all'inizio del 2010, ha scatenato una tempesta nei media sostenendo che il corpo di suo padre era stato rubato dalla sua cripta. "Il corpo del mio papà è scomparso", ha detto al giornale Globe. "Non ho idea di dove sia stato portato". Sono stato il primo giornalista al mondo che si è preso la briga di contattare i figli di Brown e chiedere se la storia fosse vera, piuttosto che semplicemente copiare e incollare senza verificare i fatti. Inutile dire, il corpo non era stato rubato. Le affermazioni della Pettit erano del tutto infondate. Questo era il calibro degli intervistati di GQ.
Le intrusioni di GQ nella vita privata Brown erano numerose e inutilmente esplicite, senza alcun valore di sorta per l'interesse pubblico. Includevano anche la discussione delle sue posizioni sessuali preferite e i dettagli dei presunti falliti incontri sessuali nella sua vecchiaia, tutti correlati da fonti più traballanti di una casa di carte in un terremoto.
Ma la ciliegina sulla torta era un'intervista con Jacque Hollander, una signora che era solita promuovere se stessa attraverso il suo sito personale sostenendo di essere stata violentata da Brown negli anni '80, incoraggiando i giornalisti a contattarla per interviste. L'unico problema era che l'accusa di stupro della Hollander era così poco valida che è stata respinta dal tribunale in due diverse occasioni. L'autore del pezzo su GQ, Sean Flynn, è andato contro quelle sentenze dei tribunali e ha fornito alla Hollander una piattaforma in cui ripetere le sue accuse. Inoltre Flynn ha vistosamente trascurato di menzionare i fatti chiave che minavano considerevolmente le affermazioni della Hollander, e ha formulato il suo articolo per suggerire che lo stupro fosse un fatto piuttosto che congetture.
Nel gennaio 2005 la Hollander ha tentato di citare in giudizio Brown per la cifra assurda di 106 milioni di dollari, diverse volte il valore totale del patrimonio di Brown. Il punto cruciale della sua causa era che Brown, per il suo presunto stupro del 1988 (uno stupro di cui non aveva mai pensato di parlare a nessuno per 15 anni), era la causa di una deficienza alla tiroide che aveva sviluppato 12 anni dopo.
Sì, davvero.
La Hollander ha sostenuto che nel 2000 le era stata diagnosticata una deficienza della tiroide autoimmune, detta malattia di Graves. Nel 2003 la Hollander cominciò improvvisamente a sostenere che Brown l'aveva violentata armato e che durante l'assalto aveva ricevuto un colpo alla testa. Il 5 gennaio 2005, armata della fragile spiegazione che un colpo alla testa e/o un incidente stressante potrebbero provocare la malattia di Graves, la Hollander ha presentato dei documenti che sostenevano che Brown era la causa della sua malattia, e ha annunciato la sua intenzione di citare in giudizio Brown per oltre 100 milioni di dollari di spese legali e danni. Il caso è stato respinto il 19 giugno 2005. La Hollander ha presentato appello e il suo caso è stato respinto per la seconda volta.
Niente di tutto questo era menzionato nell'articolo di GQ. Invece alla Hollander è stato dato un palco da cui fare accuse sensazionali e non supportate su Brown, e per descrivere la sua morte come "il più incredibile regalo di Natale che Dio poteva farmi". Nessuna menzione è stata fatta da Flynn del fatto che le sue accuse sono state respinte due volte da un tribunale. Nessuna menzione della sua querela squilibrata da 106 milioni di dollari.
Quando si scrivono profili approfonditi o articoli su persone, le informazioni più preziose che si possono ottenere sono le testimonianze di prima mano da chi conosce l'argomento. Ma nella costruzione di una narrazione, è importante garantire che la testimonianza di prima mano che stai mettendo in piedi è affidabile. Quando ho scritto il mio articolo sull'ultimo album di Brown, ho parlato con persone che erano nella stanza con lui quando registrava. Ho parlato a lungo con più di una dozzina di fonti e non ho incluso niente di ciò che pensavo fosse inaffidabile.
La Hollander è la personificazione dell'inaffidabilità, eppure GQ ha scelto di darle una piattaforma, e non era l'unica fonte dubbia che hanno usato nel loro servizio. GQ ha preso una decisione consapevole nel 2008 su chi avrebbero intervistato e chi no. Per una qualche ragione, hanno scelto di dare il pulpito a una processione di fonti inaffidabili, finanziariamente motivate.Si tratta di un mezzo utilizzato sempre dai media per presentare una versione distorta o parziale degli eventi.
Parlando con me di recente riguardo la campagna diffamatoria contro Michael Jackson, la scrittrice Deborah Ffrench ha detto, "La tipica pratica dei media con le notizie su Jackson è stata la tendenza... per venditori di programmi, editori e conduttori di non guardare oltre le scelte più salaci nel selezionare coloro a cui permettono di contribuire a una storia. Questo controllo di 'accesso' ai media dirige con successo il tono e il contenuto di una storia e si traduce spesso nella sua totale riorganizzazione. Questo non accade sempre, ma nel caso di Michael Jackson e innumerevoli altre celebrità di alto profilo o di 'nomi', un processo intenzionale di versione unilaterale è chiaramente evidente".
Ha citato l'esempio di "Michael Jackson: What Really Happened?", un documentario del 2007 di Channel 4 presentato da Jacques Peretti. Affermando di indagare sulle accuse di molestie su minori contro Jackson, il programma era uno degli attacchi peggiori che abbia mai visto. Era ricco di inesattezze lampanti, ma di fatto gran parte dell'inclinazione negativa era dovuta alle decisioni prese prima che qualsiasi filmato fosse stato addirittura girato; in particolare le decisioni su chi sarebbe o non sarebbe stato intervistato.
Lo show era composto da cinque intervistati principali, tre dei quali avevano documentate storie di aver mentito su Michael Jackson, ma nessuno di loro ne ha mai risposto.
Conosciuta per il suo documentare in modo unilaterale su Jackson e accusata in onda da Mike Taibbi della NBC di essere "personalmente impegnata" a vedere Jackson condannato nel suo processo del 2005, la giornalista Diane Dimond ha sostenuto in onda due volte a metà degli anni '90 che esistesse una videocassetta di Jackson che molestava un bambino. Jackson le fece causa e fu dimostrato che il nastro non era mai esistito. Lei riuscì a tirarsi fuori dalla causa con l'aiuto del suo amico Tom Sneddon, il procuratore distrettuale di Santa Barbara che per due volte ha perseguito Jackson con l'accusa di abusi sui minori.
Né di questa né delle innumerevoli altre occasioni in cui ha riferito falsità su Jackson al suo pubblico (come sostenere al "Larry King Live" nel 2003 che "conosceva assolutamente" l'esistenza di lettere d'amore da Jackson a Gavin Arvizo, lettere d'amore di cui è stata accertata la non esistenza) è stato mai detto al pubblico quando Peretti l'ha invitata ad offrire il suo commento durante tutto il documentario.
Il co-imputato della Dimond nella causa per la videocassetta era un uomo di nome Victor Gutierrez. Mentre la Dimond è riuscita a tirarsene fuori, la causa contro Gutierrez è andata avanti. E' stato dimostrato che aveva falsificato l'affermazione circa il video incriminante ed è stato condannato a pagare a Jackson milioni di dollari di danni. Gutierrez è fuggito in Cile e non ha mai tirato fuori il denaro. Niente di tutto questo è stato menzionato quando Peretti ha dato a Gutierrez un'opportunità di parlare nel suo documentario. Invece sia a Gutierrez che alla Dimond è stato permesso di mascherarsi da incontrovertibili esperti su Jackson.
La natura non etica di concedere un "palco" a Gutierrez dopo che in tribunale era stato dimostrato che aveva inventato le storie su Jackson è innegabile, ma omettere intenzionalmente tali informazioni e indurre in errore gli spettatori sulla sua credibilità è la prova concreta di un secondo fine, un fine che era anche dimostrato dall'inclusione del terzo intervistato discutibile, Bob Jones.
Jones era un ex dipendente scontento di Jackson che è stato chiamato al banco dei testimoni al processo della star del 2005 come testimone dell'accusa dopo aver sostenuto nel suo libro che aveva visto Jackson leccare la testa di un ragazzino su un aereo. Tuttavia ha ammesso sotto giuramento che la storia era falsa. Questo non è stato menzionato in nessun punto nello shos di Peretti, durante il quale a Jones è stato dato uno spazio significativo per infamare il suo ex capo.
Dall'altra parte della barricata c'erano due sostenitori di Jackson, l'avvocato Thomas Mesereau e il biografo J. Randy Taraborrelli. Quando ho chiesto a Taraborrelli dello show nel 2008 ha detto: "Penso di ricordarlo ora. Sono sicuro che l'ho odiato. Io di solito li detesto tutti... Ecco perché non li faccio più. Non valgono la frustrazione, per non parlare delle reazioni negative. Non importa quello che dici, troveranno sempre quell'unica frase per sostenere la loro posizione negativa e la useranno. E tu poi devi conviverci per sempre".
Il contributo di Mesereau - l'unico unico vero esperto sulla storia legale di Jackson in tutto il documentario - è stato ridotto a 30 secondi. In un articolo del Guardian's Guide magazine, scritto da Peretti per promuovere il documentario, egli ha tentato di screditare Mesereau presentandolo come un avvocato senza scrupoli delle celebrità che rappresenterebbe chiunque per un compenso adeguato. Ha scritto di Mesereau, "Io non riuscivo nemmeno a sentire quello che diceva per quanto ero fissato su un anello con un gigantesco rubino che aveva al dito che sembrava pulsare".
Ho scritto a Mesereau per la sua risposta a quel tempo e ho ricevuto il seguente messaggio: "Non ho mai visto questo documentario, pertanto non posso commentarlo in modo intelligente. Tuttavia posso parlarle del mio anello con il rubino. E' il mio anello di laurea del 1973 (Harvard University)".
Le decisioni editoriali adottate su chi doveva essere intervistato per lo show di Peretti e come i loro commenti dovevano essere modificati servono come prove evidente che i produttori di programmi cercano di guidare la narrazione in una certa direzione. Oppure, come mi ha detto la Ffrench:
"Per Peretti intervistare e dare considerevole tempo in onda a questi ospiti tutt'altro che obiettivi in un programma che si occupa di accuse molto gravi non solo è dannoso, ma anche deliberato. Jackson era già stato assolto a quel tempo. Non solo una volta, ma una giuria ha assolto Jackson 14 volte. Non c'è niente di più categorico di questo.
"Per Channel 4, una rete televisiva importante, commissionare 'Michael Jackson: What Really Happened' sapendo quale sarebbe stato il suo contenuto, e in seguito, sollecitare contributi chiaramente contaminati per quel programma, indica l'intenzione dei suoi creatori e di chi l'aveva commissionato. Restringendo selettivamente la discussione su un obiettivo dannoso, Peretti e Channel 4 stavano in realtà invitando un pubblico mondiale a ignorare il verdetto del 2005 e ad impegnarsi in speculazioni viziose senza alcun fondamento nei fatti.
"Per tutta la vita di Jackson, e sicuramente dal 1993 in poi, specifici tabloid e reti di 'intrattenimento' hanno pagato fonti altamente sospette con racconti 'dannosi; in alcuni casi hanno effettivamente inseguito gli individui perché inventassero storie accusatorie su Jackson, e persino organi di informazione tradizionali hanno trasmesso copie con alto contenuto salace sulla base di fonti infondate e con dubbi motivi".
La tattica di guidare la narrazione scegliendo 'teste parlanti' con punti di vista negativi è quella che ha prosperato dopo la morte di Jackson. Proprio il mese scorso l'autore Joe Vogel, che ha passato gli ultimi cinque anni facendo ricerche per un libro che esplora la composizione e l'impatto della musica di Michael Jackson, è stato sostituito in un dibattito di HLN (Headline News) su quel tema niente di meno che da... Diane Dimond.
I media sono spesso subdoli nella loro manipolazione di storie e identità. Consentendo alle teste parlanti di esprimere giudizi negativi o salaci, i responsabili dei programmi possono alzare le mani e dire in propria difesa "l'hanno detto loro, non noi!". Ma la realtà è che i produttori dei programmi danno intenzionalmente una piattaforma ai contributori di cui conoscono il sostegno alla loro narrazione preconcetta. Anche la più superficiale delle ricerche dirà a un produttore che se fa parlare Diane Dimond, Victor Gutierrez e Bob Jones in un documentario su Michael Jackson ne ricaverà un sacco di citazioni salaci e atroci accuse - e nessuna sarà particolarmente affidabile.
Che l'intenzione sia quella di accusare di stupro James Brown o di presentare Michael Jackson come un molestatore di bambini, i media manipolano costantemente i resoconti - per gli indici d'ascolto, per soldi, per fini politici. La cosa più inquietante è che dopo la morte dei soggetti di questi racconti manipolati non c'è letteralmente nulla che si possa fare per contrastare questo comportamento vergognoso e immorale.
Secondo le leggi vigenti sulla diffamazione, una volta che una persona è deceduta non c'è nulla di illegale nel chiamarla stupratore o pedofilo. Le leggi sulla diffamazione attuali ci dicono che quando una persona è morta non ha più una reputazione da difendere, il che significa che non importa quello che gli scrittori o le emittenti dicono su di loro, questo non può tecnicamente essere considerato diffamatorio o calunnioso. Queste leggi ridicole creano un clima in cui le emittenti e gli editori possono rendere la più falsa e spregevole accusa di pubblico dominio e non c'è alcuna possibilità di ricorso legale per le famiglie o i gestori dei soggetti.
Non capirò mai come qualcuno possa appoggiare una legge che potrebbe consentire a un giornale, a una rivista, o a uno show radiofonico o televisivo di etichettare il loro caro defunto come uno stupratore o un pedofilo in assenza di qualsiasi prova e lasciarli senza un appiglio legale. L'attuale posizione giuridica è palesemente assurda, ed è per questo motivo che supporto con orgoglio la Cadeflaw (CA [California] Anti-Defamation Law Group Legacy).
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